Miasmi, inquinamento, traffico: dal 2016 a oggi, la situazione a Fegino e Borzoli

A tre anni dallo sversamento di 700.000 litri di idrocarburi nei torrenti della zona, al via il processo che riguarda l’impianto di Fegino. Nel frattempo, qual è la situazione di questa parte della Val Polcevera? Come si è modificata dal 14 agosto 2018?

L’impianto petrolchimico a Fegino. 

Val Polcevera, terra di servitù infrastrutturali. Lo sanno bene gli abitanti di Borzoli e Fegino che convivono da decenni con le vasche Iplom a pochi metri dalle finestre di casa, e che si costituiranno come comitato parte civile nel processo che sta per prendere il via per giudicare le responsabilità dello sversamento del 2016. Come riporta il Ministero dell’Ambientesono stati deferiti quattro dirigenti della società Iplom Spa per inquinamento ambientale colposo in concorsoper non aver effettuato gli interventi di manutenzione e riparazione necessari e aver consentito l’uso della condotta conoscendo le gravi carenze strutturali.

Abbiamo incontrato Antonella Marras, presidente del Comitato spontaneo cittadini Borzoli e Fegino, a poche ore dal nuovo episodio che venerdì scorso ha spinto gli abitanti del quartiere a chiamare in massa il 112 per i miasmi provenienti dall’impianto petrolchimico. Una situazione che si era già verificata anche recentemente e che a luglio aveva portato a un’interdizione al lavaggio delle vasche, operazione che tuttavia è stata ripetuta in data 2 agosto

«Quando si parla di miasmi, la gente pensa solo che si tratti solo di cattivi odori e minimizza, chi non abita qui, ma bisogna considerare che oltre alla puzza nell’aria ci sono particelle volatili di idrocarburi che tutto il quartiere rischia di respirare», ci ha spiegato Antonella.

«Le vasche sono vecchie – e meriterebbero tra l’altro una verifica delle condizioni di usura, visto che sono sottoposte all’azione continua di agenti corrosivi – e i raschiatori che puliscono i bordi dai residui lasciati lì dai coperchi flottanti non sempre funzionano. Quindi ciò che rimane viene disperso nell’aria e rimane sulle pareti, e si rende necessario un lavaggio con prodotti chimici che a loro volta rendono l’aria irrespirabile».

Probabilmente, per chi non vive questa situazione in maniera costante sembra cosa di poco conto, eppure i danni per la salute e per il tessuto socioeconomico sono forti, ogni volta che operazioni come questa vengono effettuate.

«Attività come la trattoria di Fegino perdono clienti, chi vorrebbe mangiare in mezzo ai miasmi? Venerdì proprio non si respirava. Per di più parliamo di un quartiere che ha già subito danni consistenti con l’aggravarsi del traffico nel periodo in cui via Borzoli era l’unica via di collegamento tra la Val Polcevera e il ponente».

Dopo il lavaggio non autorizzato, Arpal sta provvedendo a installare rilevatori per verificare la qualità dell’aria e gli agenti inquinanti nel triangolo compreso tra Fegino, Borzoli e Coronata, in cui è presente anche una scuola che è importantissima sul territorio, perché molti genitori di passaggio hanno iscritto qui i figli, sulla via tra casa e lavoro. Una realtà per ora riconfermata, ma che con il diminuire degli alunni o l’aumentare della pericolosità dell’inquinamento potrebbe anche dover chiudere i battenti.

Episodi più contenuti dello sversamento del 17 aprile 2016, ma che comunque rendono difficile il rapporto tra un’importante azienda e gli abitanti del quartiere, ormai esasperati. Ciò che ne verrà dal processo riguarderà non solo il quartiere, perché le condutture risalgono tutta la vallata – prova ne è lo “sgocciolamento”, così è stato chiamato, che si è verificato al confine tra Genova e Ceranesi a giugno. È stata sversata una quantità risibile di idrocarburi, ma da quanto detto dai tecnici al lavoro sembra più per fortuna che altro. Il nucleo Tutela ambientale dei Carabinieri al lavoro. 

Perché come comitato avete deciso di costituirvi parte civile?«Vogliamo portare in evidenza il degrado del quartiere e rendere chiaro come questo impianto non rispetti i diritti dei cittadini in materia di salute e di vivibilità. Chiederemo i danni materiali e i danni morali per quanto accaduto, ma non è una questione di soldi, né una questione di colore politico. Vogliamo difendere un territorio che vive già un grande disagio, chiedendo il rispetto delle normative e i dovuti controlli e aggiornamenti, ad esempio dei piani di sicurezza, che per legge dovrebbe essere rinnovati ogni due anni e che sono fermi al 2012. Inoltre è previsto uno spostamento di alcune tubature per la messa in sicurezza del Rio Fegino – in teoria un Decreto Regio del 1934 vieterebbe la presenza di condotte simili nell’alveo dei fiumi – che però secondo la pianificazione andrebbero collocate in un altro punto del letto del torrente e in prossimità di aree a fortissimo rischio idrogeologico. Non devono avvenire altri sversamenti. Abbiamo depositato un esposto, insieme alle memorie scritte con il giusnaturalista Marco Grondacci».

Che atteggiamento percepite da parte dell’azienda?

«Siamo trattati come un elemento di fastidio, come una scocciatura, e non solo da loro. Qui sembra che lo stabilimento abbia un “diritto di natura”, come se fosse sempre stato qui, e le risposte sono spesso frustranti. Faccio un esempio: secondo il vecchio piano di sicurezza, se scoppiasse un incendio, le fiamme rimarrebbero senza dubbio all’interno dell’area dell’azienda, tanto che si consiglia ai residenti di rimanere nelle case con le finestre chiuse in attesa che sia domato. Peccato che la casa più vicina si trovi a venti metri da una vasca! A Busalla e in Valle Scrivia l’azienda ha compensato la sua presenza sul territorio, qui sembra che non sia necessario. Il fatto che abbiano ripetuto una procedura esplicitamente interdetta dalla polizia locale dopo neanche due settimane la dice lunga. Per altro noi non chiediamo la chiusura diretta, sia chiaro, non vogliamo mettere in pericolo alcun posto di lavoro: vorremmo però riflettere su una programmazione a lungo termine che possa migliorare e riqualificare il territorio».

Oltre alla ricerca di fondi per le spese legali, avete anche lanciato una raccolta firme.

«Sì, con Altra Liguria abbiamo presentato oltre 4.300 firme al Presidente della Camera Roberto Fico per una proposta di legge che obblighi ad applicare la normativa Seveso III anche alle condotte di materiali pericolosi come queste. La proposta è in Parlamento, speriamo che sia discussa il prima possibile, perché Genova – e non solo – è piena di tubature pericolose, e la convenzione internazionale Oil del 1993 prevede questa applicazione, con i piani di emergenza in caso di rottura di un tubo o di sversamento. Al momento non ci sono piani simili depositati in Prefettura, né in mano alla Protezione Civile».  Tralasciando le questioni giuridiche e legislative, a tre anni dallo sversamento a che punto è la bonifica del territorio?«La gestione del Rio Fegino e del Polcevera è passata al Ministero dell’Ambiente. Arpal ha predisposto controlli per tre anni per verificare le quantità di idrocarburi presenti nel terreno. Consideriamo che sono stati sversati 700.000 litri di petrolio, nel 2016. Agli enti locali invece è rimasta la verifica dell’opera di rinaturalizzazione a opera di Iplom, per mitigare la frana e la voragine che si è aperta. Però si deve lavorare perché non succeda ancora e perché i cittadini del posto siano preparati alle emergenze. È dovere del Sindaco assicurarsi che i residenti siano informati sui piani di emergenza ed eventualmente di evacuazione, ma molte persone non sanno come si devono comportare». Quale è stata la risposta degli abitanti di Borzoli e Fegino al problema?

«Stiamo portando avanti un’opera di sensibilizzazione e di consapevolezza dei propri diritti come cittadini italiani, primo tra tutti la salute. Molta gente sta offrendo il suo contributo alle spese legali, si informa, fa domande – nonostante l’età media molto alta – perché è stanca del trattamento che questo quartiere subisce da tanto tempo e che con il crollo di Ponte Morandi è peggiorato. Vivere un quartiere dove ci sono delle servitù importanti non deve essere sinonimo di vivere male, anzi: ci piacerebbe che oltre al monitoraggio dei singoli inquinanti – che spesso presi uno a uno rientrano nei limiti – fosse analizzato l’effetto dell’insieme degli agenti in gioco su questo territorio e che fosse portato avanti uno studio su come certe patologie sono progredite e si sono diffuse in questa zona, per capire se ci sono cause ambientali date dall’inquinamento preso tutto insieme, stabilimento e traffico».

È curioso che dopo il crollo di Ponte Morandi non solo molti genovesi abbiano una maggiore consapevolezza dei problemi del territorio polceverasco, ambientali e non solo, ma che invece molti altri vivano questa presa di coscienza come un fastidio? «Sì, soprattutto perché molti prima non conoscevano i diversi comitati di questa zona – oltre al nostro, il Comitato di Via Porro e quello di Certosa, per dire – e tuttavia non vanno a documentarsi, ci accusano di voler sciacallare sulla tragedia dell’anno scorso. Vivere in un territorio inquinato o prestato a servitù che altri percepiscono come fondamentali o ineluttabili diventa quasi una colpa, come se ce la fossimo andata a cercare, ma traslocare per molte persone non è così semplice! In più, io e con me molti altri ci domandiamo da tempo che mondo lasceremo ai nostri figli. Anche per questo collaboriamo con il gruppo genovese dei Fridays for Future. Ponte Morandi ha svelato tanti problemi – come la viabilità insufficiente in vallata – e ha posto tutti davanti a un grande interrogativo: cosa vuole diventare nel XXI secolo questa città? La sensazione che molti condividono è che sotto la retorica si punti a tornare al 13 agosto 2018, anzi, aumentando ancora le servitù – si parla di Gronda, di retroporto… Si dice di voler aiutare i commercianti del posto ma intanto si continuano ad aprire supermercati: il rischio è una desertificazione del tessuto socioeconomico della zona».

D’altra parte, vediamo che idee “diverse” vengono guardate con sospetto…«Come i murales a Certosa… La Val Polcevera ha un potenziale enorme, ma non riesce a liberarsi del suo passato di industria pesante, né forse da questa rassegnazione di dover essere un territorio a servizio del resto della città. Eppure è un territorio bellissimo, che si potrebbe valorizzare in tanti modi! E come la vallata, il ponente cittadino. Stiamo lavorando tanto con i comitati di Sestri, Multedo e non solo, perché sono quartieri e territori che devono riscoprirsi e pretendere il dovuto rispetto, e così chi vive in Alta Val Polcevera e le circoscrizioni più interne. Dobbiamo trovare il modo di lavorare tutti insieme per risolvere i problemi comuni portando avanti le singolarità… In questo anno c’è chi ha spinto per dividere i comitati, specie quando intorno a Ponte Morandi si è cominciato a parlare di soldi: c’è chi ha fatto la voce grossa finché non ha preso la sua parte e poi è sparito, e questo viene percepito da chi non vive i problemi come una caratteristica di tutti. Se ogni comitato di quartiere si unisse, invece, si potrebbe provare a cambiare le cose per tutti». Per chi volesse sostenere il Comitato ad affrontare le spese del processo, ecco le coordinate bancarie:

Banca Etica. Codice IBAN: IT 86 E 05018 01400 000016849283 INTESTATO COMITATO SPONTANEO CITTADINI BORZOLI E FEGINO

https://www.change.org/p/al-alla-presidente-della-camera-dei-deputati-applicazione-legge-seveso-alle-tubature-che-portano-materiali-pericolosi-per-l-ambiente

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