Quasi sicuro il nome del prossimo presidente della Commissione Antimafia: lo abbiamo incontrato a Serra Riccò

Tra pochi giorni ci sarà la conferma del nuovo presidente della Commissione Antimafia, che ha partecipato a un dibattito sulla criminalità organizzata in Liguria con Nadia Gentilini e Giuseppe Carbone

Il Senatore Nicola Morra sul palco del M5S Tour con Nadia Gentilini, imprenditrice la cui vita è stata stravolta dopo che si è rifiutata di collaborare in un’operazione immobiliare a Chiavari e da 18 anni vive sotto minacce e intimidazioni, nel silenzio delle istituzioni della magistratura. A destra, Giuseppe Carbone, che ha raccontato alla platea gli scopi e gli obiettivi del Movimento Agende Rosse (unica sede aperta sul territorio ligure in Val Polcevera, a Campomorone). 

Dovrebbe essere questione di giorni per conoscere il nome del nuovo presidente della Commissione Antimafia. Il più papabile al momento è il Senatore Nicola Morra, Movimento 5 stelle, ha battuto il collega Mario Michele Giarrusso nel voto interno al gruppo parlamentare che si occupa di Antimafia.

La settimana prossima la Commissione si riunirà e voterà, ma è quasi sicuro che il nome sarà quello di Morra, poiché l’accordo tra le forze di maggioranza prevede che il candidato della Commissione antimafia sia un esponente del M5S e che sia un senatore, poiché nella precedente legislatura proveniva dalla Camera (Rosy Bindi, PD).

Abbiamo conosciuto il Senatore Morra a Pedemonte durante il M5S Tour, ecco parte del suo intervento in tema criminalità organizzata.

«Dobbiamo smettere di immaginare la criminalità organizzata come circoscritta alle quattro Regioni di tradizionale radicamento – Sicilia, Campania, Calabria e Puglia. È una falsa coscienza che il resto d’Italia sia “immunizzato” da questo problema, non c’è vaccino se non una cultura della legalità. Nella relazione conclusiva della Commissione Parlamentare di Inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere, pubblicata il 7 febbraio 2018, si trovano moltissimi dati sull’infiltrazione della criminalità organizzata, infatti, le organizzazioni hanno trovato suolo fertile in un territorio che soffre doveri e la legge che li impone».

Morra a Serra Riccò ha parlato principalmente della penetrazione della ‘ndrangheta in Liguria: «Secondo le inchieste della DIA ligure, o della DDA di Reggio Calabria o di Catanzaro, lì dove vi sono colonie di calabresi bisogna essere particolarmente attenti, ma anche lì dove non vi sono colonie di calabresi. Rispetto alla mafia siciliana, la ‘ndrangheta è più raffinata e intelligente, non è mai andata allo scontro diretto come Cosa Nostra nella sanguinaria stagione delle stragi negli anni ’80 e ’90: i metodi a cui ricorre sono molto più sotterranei e intimidatori, tali da non far percepire l’emergenza. La ‘ndrangheta non è soltanto Reggio Calabria o l’Aspromonte: si è evoluta, si è strutturata, e adesso soprattutto nella mia provincia (Cosenza, ndR) riesce a presenziare la cosiddetta economia legale in maniera impressionante, perché ha una capacità di trasferire dal mondo dell’illegalità al mondo della legalità enorme. Questo può accadere perché chi dovrebbe essere fedele e garantire quei valori repubblicani di cittadinanza e quindi di legalità accetterebbe qualunque cosa, pur di far soldi. Questa criminalità organizzata ha una liquidità infinita: secondo alcune stime, nel 2017 la ‘ndrangheta dovrebbe aver mosso tra i 43 e i 54 miliardi di euro – una finanziaria muove meno capitale, per intenderci. Se non c’è coscienza di quanto questo fenomeno sia pervasivo, saremo sconfitti».

Morra ha citato anche le parole di Pino Puglisi, di cui è caduto recentemente il 25° anniversario della morte per mano della mafia: «È fondamentale, decisivo parlarne, perché più se ne parla e più si fa informazione, più si permette a chiunque di poter intendere. Poi, se non si vuole intendere, è una fase successiva. In alcuni settori dell’attività economica, come il ciclo delle cosiddette grandi opere pubbliche, le famiglie della ‘ndrangheta non sono seconde a nessuno. Ho avuto la fortuna di incontrare Gaetano Saffioti, un collaboratore di giustizia, che ha parlato di il cemento depotenziato serva ad aumentare i margini di profitto abbattendo i costi. Quando a una gara d’appalto hai un’azienda che presenta un’offerta decisamente inferiore rispetto a quelle della concorrenza sana, qualche domanda bisognerebbe porsela. L’invito che io faccio è questo: noi dobbiamo rendere la lotta alla mafia qualcosa di decisivo, non perché la mafia abbia tentato l’ennesimo omicidio, ma perché per l’ennesima volta una gara pubblica è stata condotta in modo illegale, e alla lunga gli operatori sani non reggono il confronto con chi entra nel mercato con mezzi criminali, e questo avrà delle ripercussioni gravissime sul mercato, l’occupazione, e sulla sicurezza e il diritto del cittadino.

 

Poiché le mafie non vanno ridotte ai facinorosi che a Reggio Calabria vanno a chiedere il pizzo, sono quelle che agiscono e interferiscono con gli enti pubblici, come ha raccontato anche Nadia Gentilini durante l’incontro, spiegando come da agente immobiliare è diventata simbolo della lotta alla criminalità organizzata sul territorio ligure. Sfruttano l’intimidazione che produce l’isolamento e la frustrazione di chi cerca di denunciare e non riceve l’attenzione che meriterebbe. Dobbiamo correggere il paradigma: le mafie sono presenti negli uffici dello Stato, non sono più in esplicita contrapposizione, anche in quelle sedi che dovrebbero essere preposti proprio alla lotta della criminalità organizzata. Ormai il discrimine tra economia legale ed economia illegale non è semplicemente più sfumato, ma non è proprio più possibile coglierlo.

Da noi, ma credo anche qui, si parla di lavatrici, quelle attività economiche che permettono fatturati enormi e che possono essere anche gestite in perdita, purché garantiscano ripulitura di denaro di dubbia provenienza. La Liguria, essendo una regione che si affaccia sul mare, ospita diversi porti, dove arriva di tutto e di più: secondo alcuni inquirenti, siccome il porto di Gioia Tauro è sotto controllo con una certa efficacia, sostengono che Genova abbia preso il suo posto come primo approdo di cocaina dal Sud America in Italia.

Bisogna aguzzare la vista e bisogna capire che la ‘ndrangheta non sono rozzi delinquenti che con la violenza degradano loro stessi e la società in cui agiscono. Parliamo di broker, di raffinatissimi professionisti… qualcuno suggerisce avvocati, io vado oltre: magistrati. Grazie a un fenomeno, che va studiato nelle sue radici storiche, i figli degli ‘ndranghetisti sono stati mandati a studiare nelle migliori scuole e università, un vero e proprio ascensore sociale, per “cambiar mestiere” rispetto ai padri e creare una criminalità organizzata molto più sofisticata e complessa di com’era alle origini.

La ‘ndrangheta e le mafie sono una tradizione basata sul sangue e sull’ereditarietà familiare, e non a caso negli ultimi anni si è concentrata l’attenzione sulle donne e sul loro ruolo nella criminalità organizzata. Si è notato che quando è stata convinta una donna a parlare, è venuta giù l’intera filiera in cui era coinvolta: le donne non sono soggette alla compartimentazione delle informazione tipico dell’ambiente mafioso, hanno accesso a molte più informazioni, e quando si riesce a contattare e a portare fuori una donna dall’ambiente in cui spesso è nata e cresciuta, e che fino a non molto tempo fa era ancora convinta che la criminalità organizzata fosse il suo destino, si fa saltare una locale, o una cosa, o una famiglia.

E come per le donne, bisogna guardare alle nuove vesti degli ‘ndranghetisti, bisogna studiare i fenomeni con cui riescono a camuffarsi con un incredibile camaleontismo, inserendosi in ogni ufficio pubblico, compresa la pubblica sicurezza. Dobbiamo essere tutti attenti a quando vengono concessi permessi edilizi troppo rapidamente, o altrettanto rapidamente si aprono centri commerciali, pronti a cogliere ogni segnale. Facciamo attenzione perché il radicamento nello Stato è enorme».

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